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YOKAY


Imbattersi nella cultura giapponese significa imbattersi nel mondo dei mostri.
Creature fantastiche, giganti antropofagi, spettri nostalgici, demoni della montagna, folletti d'acqua, mostriciattoli grotteschi, creature mitologiche che vivono tra gli interstizi indefiniti della nostra immaginazione. 
Esseri ibridi che generano, nello stesso momento, terrore e meraviglia, attrazione e rifiuto, paura e desiderio.
Da qui il loro potere. Il loro fascino.
Mi ha sempre incuriosita questa dimensione visionaria, come i lungometraggi di Miyazaki, che amo, in cui familiarizzi con queste presenze che sono dentro di noi, crescono e invecchiano con noi. Siamo noi in continuo mutamento.

Il mio primo demone l'ho incontrato ai tempi dell'asilo. Era rosso e grosso. Naso lungo e "occhi color di brage", si espandeva col potere della mia fervida immaginazione, sapeva essere spietato, mai compassionevole, se ne stava sotto al letto e all'angolo destro del soffitto.
Si divertiva a instillare in me il senso di colpa:" Se non dormi, viene il diavolo e ti porta via!!" mi ripetevano le suore e lui rideva con ghigno mefistofelico.
Io mi inzuppavo di questa verità come un plasmon nel the e, di me, non rimaneva che una poltiglia marrone chiaro, imbevuta di un liquido zuccherino.
Da allora il mio rapporto difficoltoso col sonno.

Il secondo demone è arrivato ai tempi del liceo. Era un mutaforma arguto e stizzoso. Mai fermo, mi confondeva a dismisura, riempiendomi la testa di nozioni e di idee.
Si dissetava con la mia sete e banchettava con la mia fame di conoscenza. Borioso e acuto, appiccava continui fuochi nel mio pensiero, bruciava le mie credenze e sacrificava le mie convinzioni, su pire enormi, per crearne di nuove, più dure poi a gestire.
Un giorno mi ha svelato che l'ora muta delle fate non esiste, che è solo un party noioso e rumoroso.
E io ci ho creduto.
Mi ha regalato specchi di ogni forma e dimensione in cui cercarmi, riflettermi, confondermi.
Ora ne ho una collezione.

Il terzo demone mi fa compagnia adesso.
È un kami potente e benigno che mi dice di proteggermi l'ombelico quando soffia il vento.
È ancestrale e necessario.
Si stupisce per un nonnulla.
Se ne sta nei miei passi e non mi sorpassa.
Profuma di cedro ed è elegante nei modi.
Mi confonde, ma con benevolenza.
Mi parla di evoluzione, di consapevolezza, di rinascite e di germogli.
Di carichi preziosi da custodire e da portare a destinazione.
Mi ripete che l'ora muta delle fate esiste e che in quell'ora le fate danzano e cambiano di forma e di colore ad ogni battito di ali.
"È la magia del crepuscolo", mi dice. "Non più notte non ancora giorno". L' attimo in cui lasciar fluire le correnti vitali, da ovunque esse arrivino, per farne un atto creativo ed identificativo.
E quando l'alba si dischiude capire che
tutto è  compiuto. Tutto si compie. Tutto è  presente.

A volte è necessario incontrare i mostri che noi stessi abbiamo creato, familiarizzare con essi in un eroico atto di  autoriconoscimento critico ed espansivo.
E' tanto indispensabile.
Quanto affascinante.

                 (Malà Strana, Praga 2019 )



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