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RADICI, RESINA E VULCANO

Il posto da dove provengo aveva un fico vecchio, cresciuto nella fessura di un muro.
Le sue foglie erano enormi e ricoperte di una resina dolcissima.
Credo resista ancora.
Nel paese da cui provengo, c'era una officina con quell'odore acre del ferro incandescente che viene lavorato a colpi forti e decisi.
Le braccia erano quelle di mio nonno paterno e di mio zio. Mio padre non l'ho mai visto battere sull'incudine.
Me ne hanno parlato, tuttavia.
Da che lo ricordi io, lui ha fatto altro nella vita.  Ha preferito forgiare il pensiero.
L 'odore del ferro, però, lo conosco bene.
E' penetrante, coraggioso, epico, evoca nella mia mente Vulcano nella sua fucina fuligginosa a plasmare la dura materia.
Quell'odore di ferro, credo sia mescolato al mio DNA.
Come lo è l'odore del legno che, nel paese da cui provengo, bruciava nei camini domestici per poi invadere le vie e confondersi con la tramontana, che in Calabria sa soffiare forte e fischiettare decisa tra gli usci delle case, come un ragazzino scanzonato e felice.
L' anima del paese sta in quell'odore di resina e legno bruciato che si perde per le strade diffondendosi come incenso benedetto a propiziare una duratura benevolenza da parte di Dio.
Il protettore è san Vito, un taumaturgo bambino che cura l'insonnia, la corea e le ossessioni. Protegge i sordi e i muti, i ballerini e gli artigiani. Fa danzare la taranta, battere i piedi a terra e le mani sui tamburi.
Qui i pomodori seccano al sole e le patate si cuociono sotto la brace.
Il pane è piu' croccante e
più buono se lo mangi alcuni giorni dopo.
La terra è di tufo chiaro e la
parte vecchia del paese, a nord-est,  si erge su grotte antiche che creano un dedalo di antri e viuzze strette, un saliscendi di gradini a strapiombo sul crinale,
dove il profumo del gelso selvatico si confonde con quello del fico.
La sera scende ancora decisa, come il silenzio, e la civetta, col suo mistero, veglia sui tetti.
Il mondo qui è magico, avvolto di incanto e di poesia e la sera della vigilia di Natale si apparecchia la tavola per i morti. Pane, olio e un bicchiere di vino per i cari che ci hanno lasciato. Ci si intrattiene con loro, nell' illusione di tenerseli vicini ancora un po' e non di  ritrovarli soltanto nel mondo dei sogni, quando, al risveglio, l'incantesimo si spezza.
"A mio padre mettiamo un pezzo di formaggio che gli piaceva tanto"  diceva mia madre e io ho amato, da allora, questo rispetto per la morte che è rispetto per la vita. Viviamo finché qualcuno ci ricorda. Questo me lo hanno insegnato bene.
I canti in chiesa sono acuti e le donne vestite di nero si incurvano prima del tempo.
Il mare è lontano ma nei giorni di scirocco sembra sentirlo salire su per la piana e riempire l'aria di sale.
Mi cerco e mi ritrovo in questa terra dove resistono le contraddizioni. E' grazie ad essa se riesco a sentirmi primitiva e raffinata, taciturna e generosa, riflessiva e avventurosa, mai sazia.
Il segreto è in quel paesaggio, in quegli odori, in quei sapori, in quella gente e nella loro storia che è  anche la mia.
                     (U Spirunu. Verzino)

Commenti

  1. Sia frutti mandati al mondo ma come le mandorle, portiamo nel mallo tutta la storia che le radici dei nostri alberi hanno succhiato dalla terra cui erano attaccati, che le loro foglie hanno respirato toccate da odori e profumi che quella terra emanava.
    Siamo dunque figli di quelle terre, ne conserviamo il ricordo atavico anche se ci ha sfiorato appena.
    Lo portiamo nel DNA con il dovere di proteggerlo, coltivarlo e trasmetterlo (se potremo).

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