Passa ai contenuti principali

Post

Visualizzazione dei post da gennaio, 2020

18 SECONDI

            (Pag 11 inserto Repubblica,  oggi 30 gennaio 2020 )  Sull' inserto di Repubblica "S e mi parli, guarisco " leggo oggi che, mediamente, un medico interrompe il paziente dopo 18 secondi dall'inizio della visita. 18 secondi... Uno due tre quattro cinque sei sette otto nove dieci undici dodici tredici quattordici quindici sedici diciassette....stoooop! Ti interrompo. Sono tanti in attesa. Sì tanti. Tantissimi anche stanotte. Malanni di stagione, i giorni della merla, l'influenza è arrivata...il medico di famiglia è malato, mi fido dei PS... Torniamo a noi.. Tu? Tu cosa mi stavi dicendo in questi 18 secondi? Ma soprattutto io, io cosa ho capito? Avevi il cuore che batteva a mille e il solito nodo in gola. Col diazepam è passato, menomale... (Avresti voluto dirmi che sei al terzo matrimonio, che soffri di depressione fin dal primo, che ogni tanto piangi, cha hai iniziato un nuovo lavoro e hai paura ma, soprattutto che hai dato in affido

ADELANTE, PEDRO, CON JUICIO

Djembering, Casamance, vista oceano, novembre 2018 Shh Silenzio. Silenziare. Acqua in bocca. Non strabordare. Non esondare Non esagerare. Muta, mutare, senza anticipare. Aspettare. Pazientare. Svuotare, senza riempire. Liberare, senza misurare. Chetare. Alleggerire. Rallentare. Così, stare. Tentare.

GUASTO TECNICO

Dove sei stata fino ad ora? Viaggiavo veloce,  Su una barca a motore.  Di quelle che galoppano sull'acqua, sollevando spuma fresca e onde che senti fino a riva.  Consumavo benzina. Parecchia. Viaggiavo a pelo dell'acqua. Non ero l'unico comandante.  Facevamo a turno. Io preferivo viaggiare con la luce, però. Abbiamo portato a destinazione molti pacchi e carichi preziosi. Usavo la forza delle mani e la sicurezza di nozioni apprese sulla carta, giovane esploratrice.  Mi affidavo ad altri, più esperti del viaggio. Così credevo. Usavo navigatori preimpostati che sapevano come non farmi perdere e riportarmi a casa ogni volta, sana e salva. Poi un bel giorno ho perso la bussola. Sì, è  successa la cosa più banale. Il sistema elettrico si è inceppato (forse un virus del sistema), nessun update a disposizione e il motore si è spento. Semplicemente.  Cosi' mi sono ritrovata in mezzo al mare, ferma. Quasi ferma. Ondeggiavo, in realtà. Nord

RADICI, RESINA E VULCANO

Il posto da dove provengo aveva un fico vecchio, cresciuto nella fessura di un muro. Le sue foglie erano enormi e ricoperte di una resina dolcissima. Credo resista ancora. Nel paese da cui provengo, c'era una officina con quell'odore acre del ferro incandescente che viene lavorato a colpi forti e decisi. Le braccia erano quelle di mio nonno paterno e di mio zio. Mio padre non l'ho mai visto battere sull'incudine. Me ne hanno parlato, tuttavia. Da che lo ricordi io, lui ha fatto altro nella vita.  Ha preferito forgiare il pensiero. L 'odore del ferro, però, lo conosco bene. E' penetrante, coraggioso, epico, evoca nella mia mente Vulcano nella sua fucina fuligginosa a plasmare la dura materia. Quell'odore di ferro, credo sia mescolato al mio DNA. Come lo è l'odore del legno che, nel paese da cui provengo, bruciava nei camini domestici per poi invadere le vie e confondersi con la tramontana, che in Calabria sa soffiare forte e fischiettare decisa

YOKAY

Imbattersi nella cultura giapponese significa imbattersi nel mondo dei mostri. Creature fantastiche, giganti antropofagi, spettri nostalgici, demoni della montagna, folletti d'acqua, mostriciattoli grotteschi, creature mitologiche che vivono tra gli interstizi indefiniti della nostra immaginazione.  Esseri ibridi che generano, nello stesso momento, terrore e meraviglia, attrazione e rifiuto, paura e desiderio. Da qui il loro potere. Il loro fascino. Mi ha sempre incuriosita questa dimensione visionaria, come i lungometraggi di Miyazaki, che amo, in cui familiarizzi con queste presenze che sono dentro di noi, crescono e invecchiano con noi. Siamo noi in continuo mutamento. Il mio primo demone l'ho incontrato ai tempi dell'asilo. Era rosso e grosso. Naso lungo e "occhi color di brage", si espandeva col potere della mia fervida immaginazione, sapeva essere spietato, mai compassionevole, se ne stava sotto al letto e all'angolo destro del soffitto. Si

CINQUE DONNE, CINQUE AMICHE

1) Barbara Don Chisciotte della Mancia. Sono don Chisciotte, e la mia professione è quella di cavaliere. Le mie leggi sono sciogliere i torti, elargire il bene ed evitare il male Ti ho conosciuta davanti alle macchinette del caffè. In una pausa a fine giro visite in reparto. Eravamo entrambe specializzande. Giovani e belle. Vive ed affamate di vita. Fuori era luglio. Le piante davanti alla clinica di un verde ostentato, deciso, senza sbavature, la luce vitale (e la sentivamo tutta), il cielo azzurro azzurro, in perfetto contrasto con il giallo Camel dei vecchi padiglioni dell'ospedale. Gia' allora (sono passati 11 anni) eri occhi vivi ed anima di bimba e portavi in giro la vita così come si porta un soprabito di buon manufatto, libero, leggero, slacciato. I tuoi colori sono azzardati e le tue tinte decise. Non ci sono mezze misure. Mi colpirono subito la tua gentilezza e la tua bellezza. Pulite. Acqua fresca sul viso. "Prego, è  arrivata prima lei" dice

CHIAMAMI COL MIO NOME

È importante dare un nome alle cose, chiamarle con il proprio nome. Si sa che, nominandole (le cose), vengono alla presenza; un po' come alitare sul vetro dove avevi appena disegnato con le dita. Dare un nome alle cose significa possedere qualcosa che, fino a un momento prima, non ti apparteneva. Un dilatarsi, per contenere. Un tentativo, tutto umano, di controllare l'ignoto. Un atto di coraggio che, tuttavia, ci fa fare i conti con la nostra vulnerabilità. Nel momento in cui "chiamiamo le cose col loro nome", si compie una trasfigurazione: l'incognito passa attraverso il filtro con cui setacciamo il mondo e lascia impigliata, nella rete, un nugulo di lettere. Lettere che, nella loro unica combinazione, arrivano a configurare una diagnosi. Dia-gnosi: "conoscere attraverso" appunto. " Una buona diagnosi è frutto di una attenta anamnesi e di una solida conoscenza" mi dicevano ai tempi dell'università. Non scordarmelo è l'antid

IL MIO CANTO DELLE SIRENE

Il mare si placa. La nave ondeggia, ma solo un poco. L'antro è stretto e l'acustica e' perfetta. Non sei bella, sai, Sirena, hai voce stridula e spezzata. Il tuo canto non mi inganna. È un terribile lamento, una lagna senza tempo. Senza ritmica,  né misura. Io direi anche scontata, già  sentita, già  postata. Sei brutta e pure un po' pelosa. Hai sguardo spento. Sei noiosa. Rughe strette sulla pinna e le labbra son rifatte. Non mi inganni. Stanne certa. Non legatemi sul palo, Non tappatemi le orecchie. Voglio stare ritta e spoglia come l'albero maestro, guardare a prua e pure a poppa, a  babordo ed in coperta. Non legarmi, lo sai che è peggio. Quando mi svincolo, poi vaneggio. Io ti ascolto, Sirenetta, non ho timore del tuo parlare. Il pensiero mi si è alleato ed il cuore è  incorporato. Ho soltanto un po' paura di quel che tu mi rappresenti. Ed è per questo che ti figuro a contenuti evanescenti. Dimmi allora vecchia arpia "

QUESTIONE DI PROBABILITÀ E PIANI

Quante sono le probabili combinazioni di un incontro? Poco più che infinite. Direi. Quante le probabilità che le tue molecole interagiscano al meglio con le mie (piuttosto che con quelle di chiunque altro)? Azzarderei un modesto e realistico 5% . E se quell'incontro (quello per cui le molecole interagivano al meglio) ci fosse già stato, ma noi eravamo troppo presi da altro per capire che stavamo giocando col destino? In tal evenienza, la probabilità e' un numero negativo. E se pure ci incontrassimo ma lo facessimo con quella dannata proiezione ideale che abbiamo di noi stessi (e degli altri)? In tal caso la probabilità di trovarsi si avvicina drasticamente allo 0. Ho trovato: io avanzo nella fase crescente della mia parabola esistenziale mentre tu procedi in quella calante (o viceversa) piu' o meno come facciamo ora (a giorni alterni), ecco allora la probabilità di trovarci c'è. Ed è un punto. Ben preciso. Si. Giusto. Perfetto. Allora avvis

ANATOMIA DI UN SENTIRE

L'ho sentita tutta la tua tristezza, oggi. Era liquida e molle. Mi gocciolava fredda sulla schiena. Filtrava lenta e pesante. Mi ha inzuppata, come succede con certe spugne porose e cedevoli. Alla fine, ero tre volte il mio peso. L'ho sentita tutta la tua delusione. L'ho toccata con l'indice della mano destra. Millimetro per millimetro. Era di acciaio. Asciutta e grigio chiaro. Una lama affilata che, incidendo, brucia solo un po'. È  dopo che ho capito quanto netta, precisa e profonda fosse l'incisione. L' ho sentita tutta la tua frustrazione. Si amplificava sulle papille e scendeva nell'esofago. Acido. Misto ad agrodolce. Vomitevole ed indigesta. Un reflusso continuo che irrita senza pace. L'ho sentita tutta la tua dignità ferita. Il tuo amor proprio improvvisamente  amputato di entrambe le gambe. Dimezzato, o poco più. Strideva, scricchiolava e cigolava fastidiosamente. Unghie affilate che raschiano sull'ardesia. So

PER CHI SUONA LA CAMPANA

Dom dom dom Le campane suonano meste e richiamano i viventi ad una cerimonia commemorativa per qualcun altro che ha tolto il disturbo. Direi alla chiesa della Madonna del Carmine, no forse il suono arriva direttamente dal Duomo... Uomo o donna? Giovane o vecchio? Morte naturale o " quel male incurabile" se l'è  portato via? Facevo il giornalista per una testata nazionale, io lo scrittore: le biografie erano il mio forte. Io ero l'edicolante all'angolo, io facevo il pane più buono di tutta la città, usavo il lievito madre.  Io costruivo case: mattone su mattone, calce e acqua; le mie mani sono tagliate dal freddo. Io vendevo la verdura in piazza del mercato, sciarpa, berretto e baffi folti. Io ero professore. Giravo tra i colonnati dell' Università Centrale, ero quello col palto' scuro, irrigidito dall'artrosi, guanti mogano,  in pelle e i quotidiani sempre sotto al braccio destro. Attraversavo spesso il cortile delle magnolie per dirige

PORTO PIDOCCHIO

Tutti abbiamo un posto dell'anima. Il mio e' un porto piccolo piccolo, cos ì  piccolo che si è fatto chiamare "pidocchio"(o pigheuggio, come dicono gli autoctoni). Un minuscolo angolo,parassita di bellezza, che di bellezza si nutre. Un anfratto di roccia bruna dove il mare sciaborda e schiuma con più convinzione ed il vento è più denso di sale che altrove; dove i contrasti sono ossimori scanzonanti, puri e sfrontati. È tra i porti più piccoli al mondo,dove attracca una barca alla volta,dove non c'è un faro, né una capitaneria di porto, ma soltanto reti da pesca stese al sole ad asciugare e minuscole case di pescatori diroccate e disabitate. Qui,la sera,i pesci si radunano a parlare,le streghe accendono fuochi a nord e dal mare, innumerevoli, si levano le preghiere degli uomini. Qui la notte scende per davvero per chi è in viaggio e la Madonna, sulla punta del promontorio, protegge ancora i naviganti, mentre le lampare, chiedono misericordia, prima che spu

ANDAVO PER NUVOLE E ONDE: DAIMON

Cosa ci accomuna, amica? Io vivo di immagini. Trasformo la luce in energia. Sento il mondo attraverso una fessura, che apro e chiudo a mio piacimento e coi miei ritmi. Domino il tempo, la luce e la profondità. Fermo tutto in un attimo e lo fisso per sempre. Sono muta e sorda. Destinata a vivere di silenzi. Vedo simmetrie, dove altri vedono righe E profondità dove altri vedono distanze. Mi si svela il giallo Il rosso mi viene addosso Nel blu, spesso, inciampo Nel verde godo, mentre i grigi mi posseggono. I contrasti mi animano e la tristezza, prima di tutti, io vedo. Vedo ombre e fantasmi. E l'attimo prima che tutto accada. Ho una macchina fotografica. Una prospettiva e mi chiamo Anna. Io vivo di fantasia. Non vedo bene da lontano, e neanche da vicino, mi si sfuoca tutto. I dettagli non sono nitidi, se non nella mia mente. Amo la erre per come ruota, La esse per come scende Le parole sono i miei potenti  demoni. Evoco E Transito Svuoto e riempio

5x5 MILLIMETRI

Non farti troppe domande se mi capita di uscire dalle righe, o non sapere più neanche cosa sono,  perché il mio mondo si è fatto, improvvisamente,a quadretti. La risposta di tutto ciò sta in una improbabile combinazione genetica, frammista a blandi processi di apprendimento, di cui siamo, nostro malgrado, il risultato. Parc Güell, Barcellona (ottobre 2019) 

LA TOSSE

Le immagini scorrono dietro al finestrino del treno. Finalmente è "direzione mare". Ripenso a quando ero piccina e adoravo quel lungo viaggio verso il sud. "Attraversiamo tutto lo stivale!" Mi dicevano e non si arrivava mai! Ma già allora, io piccina, amavo profondamente quel treno che mi portava verso il mare e seguivo, ossessiva, i fili della corrente da dietro il vetro, per calcolare ogni quanto si interrompevano per l'incontro con un pilone. "Uno, due, tre, quattro, dieci secondi, ora quindici, ora venti secondi! Attenzione! attenzione! Signori, è record!" Anche oggi scorrono veloci e indistinte le immagini oltre il finestrino che ha impressi i segni dell'ultima pioggia, i dettagli sfuggono, i colori si mescolano e le forme si confondono ma è un piacere intenso questo sguardo d'insieme. Metafora della vita, probabilmente: inutile fermare il treno per guardare il singolo dettaglio che, visto da vicino, tutto perde in armonia, bellezza e st

GUARDANDO A-FO-RIS-MA-NA

Aforismana. A-fo-ris-mà-na sost.femm,usato per indicare la transazione della materia dallo stato aereo allo stato liquido. Più specificatamente: -lo stato aereo sono i pensieri (dell'autrice Barbarah Guglielmana) -il liquido e' l'inchiostro.  Sì, questo sono gli aforismana: un pensiero, un incubo, una paura, un sogno, un desiderio, un'idea, un ideale, una proiezione, una negazione, una amplificazione...Insomma un fecondo caos interiore che dal mondo da cui proviene (che si chiami iperuranio o inconscio, poco importa) scende (o sale) sulla carta, prendendo forma. È in quella trasfigurazione che il caos si fa kosmos, ordine. L'ordine di una linea decisa, semplice, schietta, pulita, senza sbavatura alcuna. Una pennellata d' inchiostro, tracciata, il più delle volte, con un unico gesto, senza possibilità di cambiamento o correzione che definisce, per sempre, in quel preciso momento, lo slancio creativo dell'artista. E così c'è l'ometto inquieto

+

Avanzo, Sono un po' di piu' (Nel delta del Fiume Casamance, novembre 2018)

CATABASI

Mi ingarbuglio nella sconfinata potenza del pensiero, umana e fragile inquietudine di chi ha perso il filo della matassa. Quali e quanti meccanismi di difesa si mettono in atto? Continuamente, ripetutamente, come un mantra, sterile, della sopravvivenza. I limiti vanno conosciuti, per essere superati. Così non resta che scendere negli inferi di sé stessi, affrontare il proprio lato oscuro e, nudamente,  riemergere purificati dalla sua forza salvifica e rigeneratrice. (Tronchi sull'oceano atlantico, scattata a Diembereng, Senegal 2018 )

UNA PIROGA NEL DELTA. APPUNTI DI UN VIAGGIO.

15 Novembre (un anno fa) Il viaggio è iniziato e, quando il viaggio inizia,non si può più tornare indietro. Guardare il mondo da sopra le nuvole ha tutto un altro sapore e un’altra prospettiva. Quando siamo atterrati, avevo già nostalgia di quella prospettiva che si chiama cielo. La luna sembrava più vicina.La terra lontana.Ed era giusto così. Mi allontano dalla mia quotidianità, mi avvicino a me stessa. 16 novembre . Arrivati. La prima cosa che noti dell’Africa sono gli odori: un misto di spezie pungenti sulla pelle delle donne, incenso forse mirra e per le strade curry e cardamomo,direi. E il tempo.Lento.Dilatato. “C’est l’Afrique!”senti e tu, tordo occidentale,annuisci e ancora non ne sei degno. Appena arrivati decidiamo di fare un giro nel villaggio di pescatori presso cui alloggiamo. Veniamo così magicamente catapultati nella realtà locale. Io penso di essere diventata una statuina del presepe.Strade strette, muri bianchi scrostati e polverosi. Per le vie

LA MIA LUNGA NOTTE DEL DOTTOR GALVAN

Notte  strana assai, stanotte, piena. Piena. Piena. La notte della vita finita sull'asfalto del centro storico; la notte della mamma elegante che, nel centro storico, ha aperto la casa famiglia per suo figlio disabile: "C he bella maglietta di seta a righe che indossa, signora, e che belle mani che ha e come parla parla parla di questo grande amore che se ne sta lì anchilosato su quella carrozzina". Ha pensato bene di sputarlo fuori stanotte tutto quello che ha ingoiato in questi 20 anni di secrezioni mandate giù dalla tracheostomia. Ti sei ribellato, a modo tuo, Paolo, immobile, dal tuo trono, con una esplosione dell'unica cosa che ancora si poteva muovere in quel tuo corpo fermo: i tuoi globuli rossi! E li hai sparati, tutti, senza pietà, come proiettili, da tutte le parti! Ho avuto paura Paolo, tanta, ma stamattina eri in pace, respiravi sereno. A me veniva in mente la sabbia fredda del mare al mattino;  dormivi beato ed io non saprò mai cosa pensavi, ne' se