Non se lo aspettava di essere piantato così, su due gambi,
allora l'ho annaffiato con dello champagne e abbiamo brindato alla fioritura che sarà.
Le bollicine hanno eccitato la terra che ha deciso che parteciperà al parto.
Ho protetto la mia ombra dal sole di mezzogiorno, perché solo in questi giorni di intimità, mi ha confidato che ha dei problemi di fotosensibilizzazione.
Allora le ho spalmato la protezione 50.
Ho accordato i violini nel petto.
Scordato le melodie.
Messo d'accordo tutti.
E preso accordi con nessuno.
Ho osservato la gente,
solo dopo aver guardato bene me stessa.
In un tempo di paura come questo
c'è chi provvede a riesumare semi sepolti per nutrire merli, cince e fringuelli
e chi seppellisce chili e chili di chicchi di mela per vedere se cresce una pianta di cianuro.
Le ceneri di Fenice intanto volano.
Lasciando una scia di mirra incenso e nardo, assieme alle lacrime.
Le ceneri sono finite negli occhi.
Ti verrò a cercare in un nido di piante aromatiche e mi ricorderò di me.
La convalescenza è un tempo strano.
La transizione delle molecole.
La transumanza dei pensieri che vanno a pascolare nell'oceano.
La tradizione orale che il mio aedo aveva dimenticato, dopo essere stato disarcionato dal suo hippocampus.
Tra i vapori dell'alloro e della camomilla interrogo, tutte le sere, l'oracolo su cosa sarà di noi, domani.
Intanto aspetto.
Aspetto che il bulbo fiorisca, che la terra sorrida, bagnata, che lo champagne non invecchi, che l'ombra arrossisca per la troppa emozione, che tutti i violini suonino l'ottava nota, che i semi piantati nel petto germoglino,
che la Fenice faccia uno spettacolo di fuoco ogni sera per tutte le ceneri libere, che gli aedi suonino la loro rapsodia d'amore,
che l'alloro metta radici sotto la pianta dei miei piedi e
l'oracolo interroghi le viscere di ciascuno di noi per rispondere.
(foto scattata il giorno di Pasqua)