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DI PARTI (E DI FIORI DI CILIEGIO)

Il primo parto è stato di terra.
Io sentivo odore di ferro e di pietra lavica nelle mie secrezioni.
Ogni roccia ha un suo profumo sai? E conserva la memoria del mare più che della montagna da cui proviene. Così, grazie a te, ho scoperto che la roccia, quando esplode, rilascia un aroma intenso e geme gocce di salmastro.
Il tuo lento discendere in me, mi ha definitivamente legata alla terra.
Tu venivi al mondo ed io, novella Dafne, mi trasformavo in una vite che metteva radici proprio al Centro della Terra. Da allora, sai, le mie vene sono diventate tralci nodosi che si aggrovigliano per il corpo. Da allora ho branche di legno sul mio tronco asciutto e cordoni piuttosto resistenti, un portamento naturalmente irregolare e in testa tanti nodi da cui forse germoglieranno acini piccoli piccoli ma dolcissimi.
Mi hai unito alla Terra, tu. Ed era d'estate. 

Il secondo parto è stato un geyser di gocce calde originato dalle mie viscere umide.
Il roteare di uccello selvatico, fuori dal mio nido di foglie di banano.
Credo di averti generato su una goccia di resina di pino. E di averci fatto il bagno in quella goccia densa e odorosa. Tu hai, invece, deciso che mi sarei unita al vento e al suo inconfondibile odore di foglia. Mi hai legata alle correnti dell'aria, tu. E' da allora che sento il gemito delle foglie, quando si staccano dal ramo e curo la vertigine del vento, ogni notte.
Era l'inizio della primavera ed io ho capito che non avevo più porte né finestre, ero diventata una soglia aperta sui quattro lati. Così.

Il terzo parto è ora.
Una gestazione senza memoria di un atto procreativo.
Hai mai pensato ad una autogamia dentro al fiore di un ciliegio?
L'anima non produce endorfine e non ha spasmi finalistici.
E' la regressione della materia, questa.
E' la liquefazione a caldo dei pensieri.
E' la stasi nel proprio brodo primordiale.

Da questa prospettiva di silenzio che è la mia cervice sotterranea, oggi so che non vi ho partorite quando siete venute al mondo, tra sangue e fluidi, tagliando le mie viscere, ma molto, molto tempo dopo.
E' successo quando ho avuto la terribile percezione del vincolo di scambi che ci ha unite, per sempre.
Ho avuto paura della potenza del mio femminile e del mio materno acerbo e spigoloso, privo di mammelle e con tanto latte. E' allora che ho capito che questa potenza ci abita, abita ognuna di noi con o senza figli, con o senza consapevolezza, con o senza che il tuo utero abbia generato. 

Quando uscirò da qui, forse avrò la bellezza complessa e l'eleganza semplice di un organismo unicellulare. In quell'unità sarà scritta tutta la mia evoluzione.

Lì troverò la maternità dei padri
e la paternità delle madri. 
L'atto creativo di ogni donna. 
E la gestazione di ogni uomo.
                        (Scattata stamane)