Intanto il fiore del cactus è fiorito.
L'ho aspettato tanto e lui, invece, ha deciso di fiorire nel giorno della mia partenza.
Non si è mostrato a me.
Ha deciso così.
Ed io ho dovuto accettarlo.
Ha scelto di essere bello per sé stesso, non perché io lo potessi ammirare.
Lui e' fiorito giusto per il tempo di un tramonto.
Era magnifico
Pieno. Succulento.
Aveva succhiato tutta l'acqua agli aghi sottili nei giorni di magra ed ora esplodeva evaporando bellezza da tutti i pori.
In lui, tutte le declinazioni del rosso: scarlatto, vermiglione, cinabro, corallo, cremisi, una punta di amaranto e venature color porpora.
No, non l'ho visto, ma così me lo sono immaginato, da sveglia come nei sogni in cui lo andavo sempre a guardare.
Quando io sono corsa a vederlo, invece, lui se ne stava lì, sfinito da sé stesso e dal suo medesimo incanto.
Stava giù, come la lancia di don Chisciotte dopo i mulini, come il pugile steso sul ring col naso rotto, come il palloncino sgonfio e la gomma bucata.
Era pallido e senza polso.
Direi già freddo e cianotico.
Ho provato a rianimarlo, ma senza successo.
Così, l'ho delicatamente deposto dalla pianta cui era appartenuto, avvolto in un sudario di alluminio, ed è allora che ho visto che aveva una radice verde. Di un verde brillante, verde polpa di lime con sfumature celadon e bottoni di smeraldo.
L'ho messo nella terra bruna, umida, color caffè e profumata di moka.
Forse rinascerà dalle sue stesse ceneri o grazie all'infusione di caffeina in boli ripetuti.
Che mi hai voluto dire piccolo e meraviglioso fiore del cactus?
In te ho vissuto l'attesa e la disillusione.
La bellezza e il disfacimento.
La potenza e la fragilità.
La forza e la debolezza.
L'inizio e la fine.
Il sogno e la realtà.
Il desiderio e la volontà.
(Il rosso per me)