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Fiori recisi. Estirpate dal vento. Madri con figlie


Oggi, per la prima volta esco con un pezzo non mio, ma di una persona che sa scavarmi dentro come pochi, pur essendoci viste una volta. 
Una soltanto.
Il mio grazie a Barbara Colombotto Rosso che sa trapassarmi, ogni volta.


Che cosa sono gli Aforismana di Barbarah Katia Guglielmana, coautrice di Tributo Naturale (Univers Edizioni, 2021) insieme ad Ilaria Francesca Martino? 
Sono una sorta di divertissement al rovescio, anziché distrarre l’uomo dai propri problemi esistenziali, secondo il significato filosofico dato al termine da Blaise Pascal, lo avvicinano, lo inducono alla riflessione, lo provocano con grazia, una specie di gentile irriverenza.       
Sono un gomitolo, nero o rosso, che si dipana sotto lo slancio vitale ed impulsivo della loro creatrice, assumendo la forma di un esile personaggio, forte come un giunco, che richiama alla memoria i disegni infantili con le loro crude, ma rassicuranti verità, oppure quegli efficacissimi disegni rupestri con i quali gli uomini primitivi si misuravano per soddisfare la necessità di comunicare, comprendere l’ambiente in cui vivevano, compiere riti propiziatori. Una massa incandescente è rinchiusa dentro quel groviglio, prima che Barbarah, pittrice-sciamana, lo sciolga modellando due piedi, due gambe, due braccia, due mani, un corpo secco secco, un riccio al posto della testa, con aculei a volte più lunghi, altri più corti, in grado di perforare l’ambiente che li circonda con precisione ‘chirurgica’ per farsi poi parola. Sì, perché gli aforismi che ne derivano pare non siano altro che la necessaria evoluzione, il divenire del personaggio stesso, la linea di cui è composto che poco alla volta prende vita e muta in vocale, consonante, sillaba, poi onda che lambisce la sabbia dopo aver subito il rimescolio del mare. 
Sono dovuta partire da questa riflessione per comprendere Tributo Naturale, una melodia nella quale è difficile distinguere quale sia il canto e quale il controcanto, quale dei due linguaggi sia più efficace e penetrante. Quello più visivo degli Aforismana o quello degli abissi celati e poi svelati dai versi di Ilaria?  Barbarah lancia macigni, con apparente leggiadria, mentre il Grillo Parlante, o forse il suo stesso alter ego, ci dice “Alla madre ho generato l’essere figlia”. Qual è il peso specifico di questa affermazione? Per contro Ilaria, la cui scrittura mi ha affascinata sin dai suoi primi testi, ci trapassa e scava dentro con parole che sono frecce: “Trafitta dal rosso, affondo nelle braccia di mia madre, nel suo petto di latte divento sua madre, figlia di me stessa e figlia delle mie figlie. Cerco un seno e una identità.” Femminino sacro. È l’energia del Divino Femminile, l’energia stessa della vita, della creatività, della creazione che a più riprese appare nel corso della lettura di Tributo naturale (anche nei riferimenti alla luna, al suo potere), ‘partorito’ proprio nel periodo della pandemia, quando ospedali e cimiteri contavano freneticamente malati e morti come fossero ciliegie.  La vita contro la morte. La creazione contro la distruzione. La rinascita contro il declino. La speranza contro la disperazione. 
Questo è il vero controcanto di Tributo naturale, ed era ‘naturale’ sgorgasse da coloro che hanno toccato con mano la follia di quei giorni, il dolore, il terribile presagio della fine. Ilaria e Barbarah avrebbero potuto rimanere travolte oppure, come è accaduto, trasformare l’orrore che le circondava in forza generatrice. Femminino sacro. 
Questa è la chiave di lettura di Tributo Naturale e non ci si deve far distrarre dalla leggerezza dei disegni, dalle immagini dei fiori, simbolo di una primavera che forse ancora oggi deve arrivare, perché le due autrici lo hanno scritto nell’inverno più terribile che le nostre generazioni nel nuovo millennio abbiano conosciuto. Ilaria e Barbarah, Francesca e Katia: due, tre, cinque, otto, tredici, ventuno, trentaquattro, cinquantacinque…  mille donne hanno dato vita a questi componimenti poetici che si avvicinano agli haiku, ma sono liberi nel ritmo, svincolati dalla forma, quasi esonerati dalla ‘formalità’ giapponese della versificazione, da quelle tre righe e da quelle diciassette more che equivalgono il suono di una sillaba. Sarebbe stato un esercizio di stile, invece, con il candore dell’infanzia non ancora svezzata e la saggezza antica della Madre Terra questo duo femminile ci ha donato un esempio di libertà espressiva, nel quale l’una è debitrice dell’altra. E viceversa. Segno, disegno e parole. Una scrittura fatta di rimandi poetici, costruita con elementi naturali e strafottenti, volutamente, di regole e abiti (da cui abitudini) culturali.



Fiori recisi
Estirpate dal vento
Madri con figlie

(dedicato ad Ilaria e Barbarah)


Torino, 4 luglio 2022

Barbara Colombotto Rosso