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121 decibel


Navighi ancora in mare aperto, Jack!
Lo so.

Come farai ad orientarti?

Seguirò l'istinto, fratello.
Ho finalmente imparato a fidarmi di me, ma anche ad evitare le correnti ingannevoli.

Senti, ma tu, tu invece, cambiando argomento, ma neanche troppo,
hai mai sentito il verso che fa il bruco nel momento in cui vira a farfalla?
No, Jack, mai.
Io sì, è un gemito che
spacca i timpani. 121 decibel.

Esiste una soglia del dolore, fratello, oltre la quale se qualcosa ti muore dentro, lo fa per sempre.
Temporanea necessità.

Ma ci sono anche farfalle bellissime che paiono fatte con la seta mulberry.
Vederle partire in volo è
come ammirare l'ombra della luna,
e' come saper vedere l'argento nella scia della lumaca,
e' come guardare la danza di un singolo petalo mentre cade a terra e subirne un fascino antico e assai potente.

La bellezza è nei suoi effimeri dettagli, non dimenticartelo mai, fratello!

Parli difficile Jack, non ti seguo, io sono un uomo di terra e di polvere da sparo. Conosco solo le traiettorie del mio cavallo e quelle del mio proiettile.

Fratello, per me invece è diverso.
Questo è l'antidoto alla mia morte quotidiana: la conoscenza di sé, che poi è anche un dovere, verso il bruco che ci portiamo dentro.

Per questo continuo la mia navigazione in mare aperto, ma tu, tu non ti angustiare per me, ho sulle spalle la saggezza di rotte sbagliate e il conforto di alcuni porti, la fragilità dei miei errori e la vulnerabilità di chi non ha certezze. Ho conosciuto la debolezza e ho paura, quanto basta. Saprò proteggermi.

Augurami buon viaggio, piuttosto!

Tu, invece, fratello, presta attenzione a che non parta un colpo dalla tua pistola perché ti sei scordato di innescare l'ennesima sicura o eri troppo sicuro di te e delle tue certezze.

Ricordati che puoi ferire, soprattutto quando pensi di conoscerle bene le tue traiettorie.
E che, con un solo colpo, puoi uccidere. 

Anche te stesso.

    ph scattata ieri. 22/07/2021





Commenti

  1. Qualcosa mi vibra dentro mentre leggo. La mia farfalla spiccò il volo qualche anno fa quando alla soglia dei 62 anni quei 121 decibel mi risvegliarono dolorosamente. I miei timpani andarono in frantumi come uno specchio che, mentre rifletteva la mia immagine, si ruppe cadendo. Camminavo scalzo sui vetri. Da tempo non mi riconoscevo più: un'anima in un corpo non più mio, colto da acciacchi così ingombranti da sorgere in età troppo precoce. La mia anima voleva proseguire quella traiettoria che mi costruì anni innanzi. Ma la vita è imprevedibile ed io, agli imprevisti non ero avvezzo. Per anni convissi, con strazio, con quel morbo, annullando le lacrime ed ogni sofferenza. Non feci i capricci, e di tanto in tanto, ammetto di aver pensato di farla finita. 2 lauree, 3 dottorati ed un master, 167 articoli pubblicati, 1 cattedra, ma nessuno mi insegnò mai l'arte di essere fragile. Non avevo consapevolezza che gli imprevisti sono vita. Tutto ciò che volevo era avere un nuovo corpo che come un fucile sparasse i suoi proiettili, per come era stato abituato, con le sue sicure, e le traiettorie studiate a tavolino. Non sentivo alcun rumore: i miei timpani erano belli protetti con tappi insonorizzanti e le lacrime anche loro non sono mai esistite. Fu un 21 Giugno, su un letto (era il 121) di un vecchio ospedale toscano, quando venni ricoverato per una caduta accidentale. Il mio specchio andò in frantumi proprio lì come il mio femore, del resto. Col senno di poi, leggendola penso che fossero i miei timpani frantumati dal suono del viraggio dei bruchi in farfalla a farmi più male. Un pianto incessante mi colse in quella stanza: respiravo le mie fragilità per la prima volta dopo anni da quella diagnosi scomoda e fastidiosa che mi rendeva inaccettabilmente dipendente dal prossimo. Versai tutte le lacrime accumulate nel serbatoio delle mie sofferenze. Mi lasciai andare per la prima volta abbandonandomi alle emozioni travolgenti. Non ero più l'avvocato di fama, la colonna della famiglia, il marito perfetto, il padre ineccepibile. Ero per la prima volta un uomo qualunque con la sua humanitas che galleggiava su un letto antidecubito. Sentì il bisogno di abbassare le difese, deporre le armi, le stesse che mi uccisero per farmi rinascere a 60 anni.
    Quella sensazione mi riportò al fanciullo che ero senza barriere; sì quelle che costruiamo e ci costruiscono, a volte. Dopo quella degenza illuminante riappropriatomi di emozioni sedimentate, intrapresi un lungo percorso di rinascita. Fu come ritornare tra i banchi per assorbire l'arte dell'essere fragili. Concretizzai nel tempo che le sicurezze, quelle rigide fatte di diamante, possono essere tanto belle quanto 'oppio per i popoli' e lei pare lo abbia compreso.
    Son contento esistano giovani menti, come la sua, in grado di far risuonare corde così intime e private, ma estremamente comuni nella nostra humana specie.
    Letto 121

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    1. Grazie per questo suo racconto così intenso. L'incontro con la propria fragilità affina inevitabilmente la percezione di sé, degli altri e delle esperienze che si vivono. In meglio. Per me è stato così. Grazie ancora per il commento.

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  2. Quante righe e quanti quadratini
    quante vite squadrate in concetti.
    Quelli che non sono riusciti ad allungarsi..
    quelli che non sono riusciti a chiudersi e
    quelli vicini allo squarcio..
    ma soprattutto quelli che non si mossi
    che non si sono accorti di nulla.

    E tu
    che quadratino sei oggi?! e domani!?

    Si potrebbe anche rimetterlo a posto maa
    devo tagliarne un bel pezzo.
    Tagliare per poter ricucire = dolore per poter capire.

    Quanto fanno male dentro questi decibel.

    E tu ti allunghi ti chiudi o..
    dipende dal tuo filo..
    Quanta simbologia.

    G.iovanni

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    1. Già. Bella l'interpretazione della foto. Mi è piaciuta l'idea di che quadratino siamo oggi e quale domani e il concetto del tagliare un pezzo per poter poi ricucire.
      La ringrazio per i suoi commenti che sanno dare nuovi spunti di riflessione.

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  3. Intravedo uno specchio fra lei e Jack.
    Uno specchio come quello di Alice.
    Immaginandovi nei due mondi opposti dello specchio, mi domando cosa veda lei e cosa veda Jack.
    Ma, come in Alice, penso che un mondo salverà l’altro.

    Mi auguro, però, che il bruco, non si metta a strillare come una sirena o, almeno, non serva un’ambulanza per gestire la transizione vita-morte-vita per poter volare.
    E, per quanto la pistola in tasca sia di tremenda attualità, le auguro di non usarla in quanto farebbe molto più rumore del bruco di Jack… e non farebbe solo il rumore, quindi concordo con Jack.

    È vera anche l’affermazione che le farfalle son bellissime da vedere in volo ma, un appunto: le farfalle hanno ali colorate diversamente sul lato dorsale e quello ventrale e in volo si vedono dei colori e da ferme altri.
    Sul lato dorsale, quello che vediamo in volo, hanno colori più variegati e brillanti: ci attraggono. Da ferme hanno colori meno affascinanti, più pratici, per non farsi notare dai predatori il più delle volte.
    Un po’ come i due lati del nostro specchio di Alice: due facce diverse di Alice ma non per questo un’altra Alice.
    Solo facendo convivere in equilibrio i due lati dello specchio Alice diventa Alice e il baco a testa in giù diventa una farfalla ad ali in su.

    Non concordo però su una cosa: non ci sono rotte sbagliate se le scelte sono consapevoli. Quantomeno consapevoli del fatto che se vado da una parte non andrò da un’altra… per il momento, almeno.
    Quindi la saggezza deriva, credo, più dal fatto di accettare che si possa anche cambiar rotta o ritornare sui propri passi e ripartire dall’incrocio precedente.
    Senza sparare ad eventuali compagni di viaggio nel caso nel frattempo se ne sian trovati, e nemmeno farli scendere alla prima fermata utile che fa male quasi quanto avergli sparato.
    Almeno assicuriamoci che, se han smesso di far splendere i loro colori, sia perché son fermi per far volare noi.

    In ogni caso, buon viaggio.

    P.H.D.

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    Risposte
    1. Grazie per il.suo intervento. Sì ci vuole equilibrio perché convivano in armonia le diverse parti di noi, i due lati dello specchio, i bachi e le farfalle. Nel mio caso non è stato.sempre tutto così armonico. Ho sentito il bruco emettere quel gemito assordante quando ho dovuto lasciare andare qualcosa, di me stessa, perché non mi rispecchiava più e ho dovuto trovare il coraggio di cambiare rotta. Le metamorfosi sono dolorose. Talora necessarie. Farle in silenzio per non disturbare gli altri è una forma di rispetto. Sacrosanta a mio parere. Sarebbe bello, tuttavia, poter mutuare dalla natura la medesima eleganza nella trasformazione.
      Apprezzo e condivido il suo appunto sulle rotte. Forse non esistono rotte sbagliate ma varie possibilità di movimento. Per certo la conoscenza di sé e l'aver fatto tesoro delle proprie esperienze rendono più prudente la navigazione. Infine esattamente come sopra, non disturberei mai chi si è messo in viaggio. Men che meno lo obbligherei a scendere, nel caso condividessimo la stessa rotta, ma se così non fosse? Non obbligherei nessuno a scendere, ma non escludo che io possa farlo per non subire le rotte degli altri.

      Grazie per i suoi interventi sempre stimolanti.

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