A.
mi ha insegnato
che essere attaccati alla Vita è davvero importante.
Che il desiderio è spinta vitale,
che la rabbia è meglio della tristezza
e la compassione vera nobiltà d'animo.
Mi ha insegnato
che gli abissi si guardano,
anche quando fanno paura,
soprattutto quando.
Che la corteccia copre,
ma l'inconscio svela.
Che quella zona oscura, terrificante e diversamente silenziosa che ci abita in realtà
è una poesia senza parole,
potente seduzione capace di condurre in luoghi inaccessibili, con la medesima audacia di un giovane e travolgente amore.
A.
mi ha insegnato
che non esiste un limite di età, di tempo e di spazio per conoscere davvero sé stessi e che questa è l'unica vera scommessa con Cronos, il tiranno.
Che dopo è meglio che mai.
E che l'amore è tutto,
o, quantomeno, gran parte del senso di ogni cosa.
L'amore ricevuto, ma anche e forse soprattutto, quello donato.
A.
mi ha insegnato che resterà un ricordo della coerenza, ma soprattutto della incoerenza che ci ha caratterizzati, quella con cui ci siamo per davvero mostrati a chi ci voleva bene,
a cui noi volevamo bene
e a cui, con dignità, abbiamo chiesto comprensione per la nostra umana imperfezione, senza pretendere riconoscimento alcuno, né tuttavia, drammatizzare troppo.
A.
è molto più grande di me ma io ho addosso la noia di pensieri stantii e la stanchezza d'un centenario, rispetto alla sua fresca giovinezza.
A.
mi sta insegnando la gratitudine,
dote così terribilmente umana
ma,
non mi ha ancora insegnato a non temere la morte, nè la fine.
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