Quando riuscirò ad accogliere il tuo dolore, coniugato al maschile
mi sentirò donna, a tutti gli effetti.
Quando ascolterò, la tua inquietudine figlia senza sentire l'urgenza di aiutarti,
sarò davvero madre dentro.
Quando deciderò di fare spazio alla fragilità di chi mi ha generato,
smetterò, naturalmente, di fare i capricci.
Quando tratterò le tue esili fibre esattamente come farò con le mie per paura si spezzino,
sarò migliore di adesso.
E se per caso avrò fatto tutto in silenzio,
allora la mia trasformazione sarà fragorosa.
Quello che i Giapponesi chiamano “kijō 気丈”
RispondiEliminaConvinta che lo scambio di idee sia una ricchezza, mi permetto di condividere un punto di vista riguardo al dolore.
https://matchainchiostro.wordpress.com/2018/11/06/72-stagioni-del-giappone/
Grazie per i suoi scritti.
Gentilissima, la ringrazio di cuore per il suo rimando che ho trovato interessantissimo.
EliminaNon mi sono mai fermata a pensare che "il dolore possa avere una forma, che si possa adattare, come l’acqua, alla struttura che l’accoglie".
Meraviglioso il pezzo in cui si dice che "più qualcuno si mostra forte, maggiore è la compassione che merita: egli infatti non è insensibile agli eventi ma, al contrario, sta soffrendo profondamente, soltanto che, per non tormentare chi vive lo stesso dramma, si trattiene".
Grazie per aver condiviso questo concetto profondo del kijō.
Grazie per questa connessione che, io personalmente, trovo assai preziosa!
A presto, mi auguro
Cara lei che scrive di vita nel suo blog, credo che il percorso che va augurandosi sia un pellegrinaggio dell'eternità tutta, nel senso che
RispondiElimina-le spiego, non si esaurisce in una vita sola, non si esaurisce in un solo essere vivente, non si esaurisce in una sola epoca, ma fa parte di una evoluzione-involuzione (per chi non vi si adopera) che attraversa il nostro essere padri figli, figli padri, cenere sole, sole cenere, millennio istante, istante millennio, essere umano verme, verme essere umano. Quale attraversamento è il nostro veramente? E poi adesso -me lo lasci dire, c'è molto asfalto, non è facile non fare rumore.
Pietro Zattera
Grazie Signor Pietro per questa riflessione!
Eliminahttps://m.youtube.com/watch?v=yWtzX2CqvzU
RispondiEliminaG.
Grazie G. Interessante anche questo rimando altrettanto pieno di altri spunti.
EliminaPuò essere stupido a scriverlo edi più a leggerlo. doveva essere un brano Einaudi maa questo..era esattamente quello che volevo. Non ci conosciamo e siamo due mondi diversi e LONTANI per cui non è un immagino o un like. Io ti sento un po' così (non le scene violente ma hai capito) Be sulle streghe se non è una coincidenza hai cambiato un po' opinione ed anche se fosse ne sono contento sono rimandi sinceri e un po' sentiti allora.
EliminaGrazie per la risposta.
G.
Accogliere il dolore: quanto amore o presunzione.
RispondiEliminaNon conosco la sua storia ma le auguro il primo avendo peccato della seconda. Il brano e l'immagine dal titolo evocativo hanno toccato una "crepa" che voglio condividere.
Ho capito a mie spese che farsi carico del dolore dell’altra deve essere un atto di amore e dedizione enorme, perché vuol dire soffrire “al posto” dell’altra.
Nulla a che vedere con la sinestesia che dev’essere una maledizione.
Niente a che fare con il “cum patior” latino o l’"empateia " greca, intese come impegno alla partecipazione e alla comprensione.
Devo dire che il mio peccato di presunzione era dovuto anche al fatto di essere stata cagione di quel dolore.
Non potevo accoglierlo, dovevo comprenderlo e non dovevo sperare di curarlo. Non potevo perché stavo cercando, e sentivo di averne personale dovere, di curare me stessa. A costo della promessa di essere l’una le ali dell’altra. Mi spinse più volte, negli anni, a mettermi in gioco, seguire le mie propensioni, mi diceva che ero pronta, era finito il tempo dello “studeo” ed era il tempo della “pràctica” o come diceva lei, grecista, della pràktiké, fare arte di ciò che siamo e ci siamo preparati a fare. Ma non mi sentivo mai abbastanza pronta. Non erano i tempi ed ero già provata dall’essere quel che ero.
Non avevo compreso che i suoi silenzi, il lasciarmi andare, furono il suo modo di sollevarmi un po’ dalla fatica e dal dolore del mio percorso, da quelli che avrebbero potuto essere i miei sensi di colpa… almeno verso di lei.
Anni dopo, parlando con un’amica comune capii che mi lasciò andare alla ricerca di me stessa pur amando già anche quella me che io stessa avevo tenuto sedata in un cassetto.
“Ti amava tutta prima che tu svelassi il tuo tutto” mi disse, ma era troppo tardi anche per un solo gesto di affetto o riconoscenza.
La ringrazio per aver risvegliato queste lacrime che fanno bene ai fiori che coltiviamo in noi.
Ringrazio anche la lettrice per la condivisione del concetto di kijō. Una lettura davvero interessante, dovrò rivedere il mio concetto tutto occidentale di “compassione”. Molte persone a me care ne avrebbero giovato.
Anche con più anni alle spalle che dinanzi, non si smette mai di imparare.
Gentile signora,
Eliminail pensiero così vivo ed intimo che ha condiviso in questo spazio mi ha toccata nel profondo e desidero ringraziarla per averlo fatto.
Il suo commento mi è vibrato dentro, forte e deciso, in crepe simili e la sua riflessione sull'accoglienza del dolore altrui, mi ha travolta perché trasuda di vita vissuta, non solo raccontata.
Toccante e reale il punto in cui parla dell'esigenza di curare sé stessi prima di poter avere l'ambizione, l'amore o la presunzione, chissà, di alleviare anche il dolore altrui.
In alcuni momenti della vita è come se quell'esigenza verso sé stessi si facesse così imperante da non dare scampo.
Io personalmente ho trovato di una bellezza struggente la sua confidenza sul fatto di non aver compreso i silenzi dell'altra persona, e la possibilità che chi ci ama ci possa lasciar andare, sollevandoci un po’ dalla fatica e dal dolore del percorso personale, inevitabilmente intriso di sensi di colpa…
"Ti amava tutta prima che tu svelassi il tuo tutto” .
La ringrazio per le lacrime che oggi, alla sua lettura, hanno annaffiato un'altra piccola parte di me che aveva sete.
Cara signora, anche lei, come la signora del kijō, mi ha emozionata, allargando il cuore e la mente, a riflessioni ben più ampie.
Per questo, io vi sono davvero grata.
Anche io non conosco la sua storia, ma so che sarei profondamente affascinata da quello che potrei imparare.
Aggiungo un'ultima riflessione: sto capendo che, allora, ha un senso condividere i propri pensieri,
RispondiEliminaperché quel che si riceve è immensamente più grande....