un non quadro ma ciò non toglie che possa esserci meraviglia, tu sai cosa c'è dietro alla tua porta ognuno sa quello che vorrebbe trovare dietro alla sua porta, i pensieri felici quelli funzionano sempre , come i tuoi bronzini di desiderio quelle robe lì insomma. Sei sognatrice eccome, ee più volte li balli i tuoi sogni per renderli vivi e viverli, assaporarli , sii sei in grado di farlo, lì vedrai, i tuoi colori attraverso.. https://www.instagram.com/p/B2TIZmDA1WD/?igshid=1e791bldsq7el
Per Platone la catarsi era un processo conoscitivo, una purificazione che nel percorso della cura di sé porta alla saggezza. La catarsi inizia con la periagoge, la conversione, con la liberazione dalle catene che permette al “prigioniero” di guardare oltre il senso comune e poi di uscire dalla caverna. Caverna che ritrovo nel suo scritto “per un pugno di dollari”.
Trovo che un nodo leghi i due pezzi: “Forse hai cercato i miei frutti nei posti sbagliati o io li ho tenuti troppo nascosti. Poco importa, adesso. Forse non hai capito i miei labirinti, ed infatti non sei stato capace di perderti, ma non te ne faccio più una colpa.”
“Mi prendo questo mio tempo in cui chiedere a chi mi ama o mi ha amata: ma tu sai davvero perché l’hai fatto?”
Due considerazioni interessanti e molto simili. Nel primo, dai tanti dei versi precedenti, passa a riferirsi ad una sola persona. Inizialmente si pone il dubbio di non essersi aperta completamente, poi incolpa (con una rassegnazione che colpisce impietosa e non lascia scampo) di non aver saputo entrare, non in un’accogliente casa ma in un labirinto (preesistente o artefatto?).
Nel secondo si chiede perché questa persona (se è la stessa) l’abbia amata. Rileggo il dubbio precedente: “cosa ho dato da amare di me?” o “non sai chi sono, non hai superato un metro delle miei labirinti, come puoi dire di amarmi o avermi amato?”. Forse vince la seconda e anche qui non lascia scampo.
Mi ritrovo in queste parole. Ho attraversato queste domande Ero “prigioniero” ed è stato confortante uscire dalla caverna e costruire labirinti per non farmi trovare, troppa la paura di tornare “prigioniero”. Liberatorio usare quella stessa rassegnazione come lama nel rituale catartico che richiede il sacrificio di un “capro espiatorio”.
“… ma tu sai davvero perché l’hai fatto?” non ho mai avuto coraggio di chiederlo. A distanza di anni, leggendola, forse riuscirò a farlo e sarò definitivamente fuori dalla mia grotta.
Gentile lettore, grazie. Grazie per la sua analisi precisa e affilata che coglie perfettamente il senso profondo che si nasconde dietro alle parole e/o alle immagini simboliche che, in maniera del tutto inconscia, si vanno a "pescare" da qualche parte nel mondo interiore. Lei ha colto delle sfumature di cui ho preso ulteriore coscienza, leggendo il suo commento. Mi parla di catarsi (e mi colpisce), di labirinto (reale o artefatto...non ci avevo pensato), di parti non trovate da chi avrebbe dovuto o piuttosto nascoste? mi fa richiedere...Mi parla di capro espiatorio e di colpi impietosi (che mi portano ad abbandonare le vesti della Kore indifesa). La caverna è, ha colto bene, quella del pistolero di Leone. La caverna simbolica in cui ci rifugiamo, se feriti, intrattenendoci col costruttore di bare che, proteggendoci dalla confusione, rimette ordine nella vita interiore. Parla, in ultimo, di prigione e mi trasmette una grande voglia di libertà e una grande forza finale! La ringrazio per aver condiviso tutto questo! A presto, mi auguro
Leggerla e condividere questi pensieri confesso che ha ravvivato la "relazione" con il mio analista (al quale consiglierò il suo blog). Non mi vedo come Kore indifesa. Seguendo il suo ragionamento (dell’analista) propendo più per la versione in cui il melograno, Kore, lo mangia deliberatamente. E non escludo quella in cui sia stata circuita facendole ingerire dell’oppio che, si sa, può creare dipendenza e assuefazione. Così, nella sua caverna, Kore non ci sta poi così male. D’altronde, figlia di dei, proprio sprovveduta non doveva essere. Rileggendo i pensieri sopra e, assecondando ieri il suo (dell’analista) gioco sporco, la domanda l’ho rivolta a me stesso: “sai perché l’hai fatto?” Ed ecco dove mi ha portato: pur attratto dalla luce all’uscita della caverna, e con il diritto e il dovere verso me stesso di raggiungerla (rimprovero e lode), ho per troppo tempo indugiato nelle ombre sul fondo per paura che mi ferisse a morte e ho amato convinto che avrei potuto continuare a vivere in quella penombra confortevole, familiare… ahimè, perché convenzionale. Anche quando il cammino per lasciare la caverna era ampiamente iniziato, ho seminato i miei “ti amo” (trappole inconsce) e con quelli ho riempito i miei labirinti che non hanno mai portato a conoscere “che numero di scarpa indossa davvero la mia anima”, bensì a quell’altare su cui è stata pagata la mia catarsi. Mi consola (grazie dottore!) la conclusione che non ero “ancora” conscio di quel che facevo. Sì, a rileggere questi pensieri, mi convinco che la domanda, in primis, la dovessi fare a me stesso. Ora, più consapevole, pur non potendo (e volendo) tornare indietro, sento di avere il dovere nei confronti di quel che è stato pagato sull’altare, di non dover più indugiare sulla soglia della caverna, la punta del piede ancora in ombra.
Grazie perché questo scambio mi ha aperto gli occhi su cose che non avevo considerato. Anche il resto del suo blog è illuminante. Ho trovato molto interessanti i pensieri delle signore a commento del testo “Nuovo”. Aspetto di leggere cose nuove.
Folco
p.s.: perdoni se son sembrato villano, prima, a non firmarmi.
un non quadro ma ciò non toglie che possa esserci meraviglia, tu sai cosa c'è dietro alla tua porta ognuno sa quello che vorrebbe trovare dietro alla sua porta, i pensieri felici quelli funzionano sempre , come i tuoi bronzini di desiderio quelle robe lì insomma. Sei sognatrice eccome, ee più volte li balli i tuoi sogni per renderli vivi e viverli, assaporarli , sii sei in grado di farlo, lì vedrai, i tuoi colori attraverso..
RispondiEliminahttps://www.instagram.com/p/B2TIZmDA1WD/?igshid=1e791bldsq7el
G.
Elimina“Mi prendo questo mio tempo…”
RispondiEliminaKatharsis…
Per Platone la catarsi era un processo conoscitivo, una purificazione che nel percorso della cura di sé porta alla saggezza.
La catarsi inizia con la periagoge, la conversione, con la liberazione dalle catene che permette al “prigioniero” di guardare oltre il senso comune e poi di uscire dalla caverna.
Caverna che ritrovo nel suo scritto “per un pugno di dollari”.
Trovo che un nodo leghi i due pezzi:
“Forse hai cercato i miei frutti nei posti sbagliati o io li ho tenuti troppo nascosti. Poco importa, adesso.
Forse non hai capito i miei labirinti, ed infatti non sei stato capace di perderti, ma non te ne faccio più una colpa.”
“Mi prendo questo mio tempo in cui chiedere a chi mi ama o mi ha amata: ma tu sai davvero perché l’hai fatto?”
Due considerazioni interessanti e molto simili.
Nel primo, dai tanti dei versi precedenti, passa a riferirsi ad una sola persona. Inizialmente si pone il dubbio di non essersi aperta completamente, poi incolpa (con una rassegnazione che colpisce impietosa e non lascia scampo) di non aver saputo entrare, non in un’accogliente casa ma in un labirinto (preesistente o artefatto?).
Nel secondo si chiede perché questa persona (se è la stessa) l’abbia amata. Rileggo il dubbio precedente: “cosa ho dato da amare di me?” o “non sai chi sono, non hai superato un metro delle miei labirinti, come puoi dire di amarmi o avermi amato?”. Forse vince la seconda e anche qui non lascia scampo.
Mi ritrovo in queste parole. Ho attraversato queste domande
Ero “prigioniero” ed è stato confortante uscire dalla caverna e costruire labirinti per non farmi trovare, troppa la paura di tornare “prigioniero”.
Liberatorio usare quella stessa rassegnazione come lama nel rituale catartico che richiede il sacrificio di un “capro espiatorio”.
“… ma tu sai davvero perché l’hai fatto?” non ho mai avuto coraggio di chiederlo. A distanza di anni, leggendola, forse riuscirò a farlo e sarò definitivamente fuori dalla mia grotta.
Gentile lettore, grazie. Grazie per la sua analisi precisa e affilata che coglie perfettamente il senso profondo che si nasconde dietro alle parole e/o alle immagini simboliche che, in maniera del tutto inconscia, si vanno a "pescare" da qualche parte nel mondo interiore.
EliminaLei ha colto delle sfumature di cui ho preso ulteriore coscienza, leggendo il suo commento.
Mi parla di catarsi (e mi colpisce), di labirinto (reale o artefatto...non ci avevo pensato), di parti non trovate da chi avrebbe dovuto o piuttosto nascoste? mi fa richiedere...Mi parla di capro espiatorio e di colpi impietosi (che mi portano ad abbandonare le vesti della Kore indifesa). La caverna è, ha colto bene, quella del pistolero di Leone. La caverna simbolica in cui ci rifugiamo, se feriti, intrattenendoci col costruttore di bare che, proteggendoci dalla confusione, rimette ordine nella vita interiore.
Parla, in ultimo, di prigione e mi trasmette una grande voglia di libertà e una grande forza finale! La ringrazio per aver condiviso tutto questo! A presto, mi auguro
Leggerla e condividere questi pensieri confesso che ha ravvivato la "relazione" con il mio analista (al quale consiglierò il suo blog).
RispondiEliminaNon mi vedo come Kore indifesa.
Seguendo il suo ragionamento (dell’analista) propendo più per la versione in cui il melograno, Kore, lo mangia deliberatamente. E non escludo quella in cui sia stata circuita facendole ingerire dell’oppio che, si sa, può creare dipendenza e assuefazione.
Così, nella sua caverna, Kore non ci sta poi così male.
D’altronde, figlia di dei, proprio sprovveduta non doveva essere.
Rileggendo i pensieri sopra e, assecondando ieri il suo (dell’analista) gioco sporco, la domanda l’ho rivolta a me stesso: “sai perché l’hai fatto?”
Ed ecco dove mi ha portato: pur attratto dalla luce all’uscita della caverna, e con il diritto e il dovere verso me stesso di raggiungerla (rimprovero e lode), ho per troppo tempo indugiato nelle ombre sul fondo per paura che mi ferisse a morte e ho amato convinto che avrei potuto continuare a vivere in quella penombra confortevole, familiare… ahimè, perché convenzionale.
Anche quando il cammino per lasciare la caverna era ampiamente iniziato, ho seminato i miei “ti amo” (trappole inconsce) e con quelli ho riempito i miei labirinti che non hanno mai portato a conoscere “che numero di scarpa indossa davvero la mia anima”, bensì a quell’altare su cui è stata pagata la mia catarsi.
Mi consola (grazie dottore!) la conclusione che non ero “ancora” conscio di quel che facevo.
Sì, a rileggere questi pensieri, mi convinco che la domanda, in primis, la dovessi fare a me stesso.
Ora, più consapevole, pur non potendo (e volendo) tornare indietro, sento di avere il dovere nei confronti di quel che è stato pagato sull’altare, di non dover più indugiare sulla soglia della caverna, la punta del piede ancora in ombra.
Grazie perché questo scambio mi ha aperto gli occhi su cose che non avevo considerato. Anche il resto del suo blog è illuminante. Ho trovato molto interessanti i pensieri delle signore a commento del testo “Nuovo”.
Aspetto di leggere cose nuove.
Folco
p.s.: perdoni se son sembrato villano, prima, a non firmarmi.